IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO 
                           SEZIONE CIVILE 
 
    Composto da 
        dott. Guglielmo Avolio,  Presidente, 
        dott. Roberto Beghini, giudice relatore, 
        dott. Massimo Morandini, giudice 
    Letti gli atti del procedimento n.  3281/2019  RG,  pronunzia  la
seguente ordinanza di  rimessione  degli  atti  alla  Eccellentissima
Corte costituzionale in  relazione  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 263, terzo comma, del  codice  civile  (come
modificato dall'art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013,  n.
154). 
    1. La rilevanza della questione 
    La rilevanza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
risiede nel fatto che, nel presente  giudizio  ordinario,  Z.B.,  con
atto di citazione notificato il  7  agosto  2019,  ha  impugnato  per
difetto di veridicita' - ai sensi dell'art. 263 del codice  civile  -
il riconoscimento  di  paternita'  della  figlia  minore  Z.M.  (nata
il...), da lui effettuato lo stesso giorno innanzi  all'ufficiale  di
stato civile del comune di M. (Tn),  all'uopo  convenendo  innanzi  a
questo Tribunale ordinario la madre,  C.R.  (con  cui  conviveva  dal
2006),  sia  in  proprio  sia  quale  esercente  la   responsabilita'
genitoriale su detta figlia, sostenendo l'attore Z.B.  che  la  madre
gli aveva confidato, nel novembre 2018, di aver avuto, nel 2009,  una
breve relazione sentimentale con  un  vecchio  amico:  cio'  induceva
l'attore ad effettuare esami ematici il 13 novembre ed il 6  dicembre
2018, dai  quali  la  sua  paternita'  risultava  smentita.  Di  qui,
l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita'. 
    C.R. ha aderito all'impugnazione, sostenendo che, effettivamente,
Z.M. non sarebbe figlia di Z.B.. 
    Con ordinanza 9 gennaio 2020, questo  Tribunale  ha  disposto  la
nomina  di  un  curatore  speciale  alla  minore  Z.M.,  prospettando
contestualmente alle parti - d'ufficio - la necessita' di contraddire
in merito alla tempestivita' dell'impugnazione del riconoscimento, in
quanto  era  pacificamente  trascorso  oltre  un  anno   dal   giorno
dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita  e  l'attore
nulla aveva dedotto in  merito  all'eventuale  propria  impotenza  al
tempo del concepimento (considerando che, a norma del terzo comma del
citato art. 263 del codice civile, «l'azione di impugnazione da parte
dell'autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un
anno che  decorre  dal  giorno  dell'annotazione  del  riconoscimento
sull'atto di nascita. Se l'autore del riconoscimento  prova  di  aver
ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento,  il  termine
decorre dal giorno in  cui  ne  ha  avuto  conoscenza;  nello  stesso
termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento e' ammessa a
provare di aver ignorato l'impotenza del presunto padre. L'azione non
puo' essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione  del
riconoscimento»). 
    Sul punto, le parti, compreso il curatore speciale  della  minore
ed il pubblico ministero, hanno quindi depositato note difensive. 
    Cio' premesso,  osserva  il  Collegio  che  la  requisitoria  del
pubblico  ministero,  e'  inconferente,  in  quanto  fa   riferimento
all'art. 244 del codice civile, il quale,  come  noto,  si  riferisce
all'azione di disconoscimento della paternita',  mentre  oggetto  del
presente   procedimento   e',   come   detto,   l'impugnazione    del
riconoscimento per difetto di veridicita' (citato art. 263 del codice
civile). 
    Non sono dirimenti  nemmeno  le  note  difensive  depositate  dal
curatore  speciale  della  minore,   il   quale   si   e'   associato
all'impugnazione  del  riconoscimento  per  difetto  di  veridicita',
proposta dall'attore, sostenendo che  nessuna  prescrizione  potrebbe
esservi nei suoi confronti, in quanto, in forza del secondo comma del
citato art. 263 del  codice  civile,  «l'azione  e'  imprescrittibile
rispetto al figlio». Il Collegio  rileva  che  il  curatore  speciale
della minore, e' stato nominato dal giudice istruttore con la  citato
ordinanza 9 gennaio 2020. Tale nomina, tuttavia, non gli consente  di
proporre autonomamente  alcuna  impugnativa  del  riconoscimento  nel
presente giudizio, in quanto, in materia, trova  applicazione  l'art.
264 del codice civile  (come  modificato  dall'art.  29  del  decreto
legislativo  28  dicembre  2013,  n.   154),   in   base   al   quale
«l'impugnazione del riconoscimento per difetto  di  veridicita'  puo'
essere  altresi'  promossa  da  un  curatore  speciale  nominato  dal
giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio  minore
che ha compiuto quattordici anni, ovvero  del  pubblico  ministero  o
dell'altro genitore che abbia  validamente  riconosciuto  il  figlio,
quando si tratti di figlio di eta' inferiore». Ribadito che  Z.M.  ha
meno di 14 anni, essendo nata il.... , il Collegio condivide, con  la
dottrina piu' autorevole, l'interpretazione secondo cui  tale  nomina
del curatore speciale, non coincide con quella effettuata dal giudice
istruttore in questa sede,  poiche',  diversamente  da  quest'ultima,
quella prevista dal cit, art. 264 del codice civile e' soggetta  alla
procedura  camerale  prevista  dall'art.  737  del  codice  procedura
civile, posto che il giudice deve assumere sommarie  informazioni  ed
acquisire anche il parere del pubblico ministero (ex  art.  70  n.  1
codice procedura civile), al fine  di  verificare  se  l'impugnazione
corrisponda all'interesse della minore.  Nulla  di  tutto  questo  e'
accaduto nella fattispecie concreta. Pertanto, nel presente giudizio,
il curatore speciale della minore, non e' legittimato ad impugnare il
riconoscimento per difetto di veridicita'. 
    La questione della prescrizione non e' superata neppure dal fatto
che anche la madre abbia aderito all'impugnazione del riconoscimento,
dovendosi a tal fine osservare che per lei valgono gli stessi termini
di prescrizione dell'attore. Ne' vale invocare  il  differimento  dei
termini disposto dalla disciplina transitoria prevista dall'art. 104,
decimo comma, del decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154,
secondo  cui  «fermi  gli  effetti  del  giudicato  formatosi   prima
dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, nel caso
di riconoscimento di  figlio  annotato  sull'atto  di  nascita  prima
dell'entrata in vigore del presente decreto  legislativo,  i  termini
per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'art. 263  e  dai
commi secondo, terzo  e  quarto  dell'art.  267  del  codice  civile,
decorrono dal giorno dell'entrata  in  vigore  del  medesimo  decreto
legislativo». Il decreto legislativo, infatti, e' entrato  in  vigore
il 7 febbraio 2014, mentre l'atto di citazione e' stato notificato il
7 agosto 2019, e quindi in ogni caso oltre il termine di 1 anno o  di
5 anni. 
    La rilevanza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
risiede nel fatto che, se per l'autore del riconoscimento, il termine
di prescrizione dell'azione decorre dal giorno  dell'annotazione  del
riconoscimento stesso sull'atto di nascita  (nella  specie  avvenuto,
come detto, il 4 agosto 2010), come dispone  testualmente  il  citato
art. 263, terzo comma, del codice  civile,  l'azione  stessa  sarebbe
tardiva, poiche' l'atto di citazione, come detto, e' stato notificato
il  7  agosto  2019;  se  invece  il  termine  decorre  dall'avvenuta
conoscenza della non veridicita' del  riconoscimento  (nella  specie,
dell'ulteriore relazione sentimentale della madre), l'azione  sarebbe
tempestiva, in quanto l'attore  ha  -  pacificamente  -  avuto  detta
conoscenza solo nel novembre  -  dicembre  2018  e,  come  detto,  ha
notificato l'atto di citazione il 7 agosto 2019. 
    2. La non manifesta infondatezza 
    Ad avviso  di  questo  il  Tribunale,  sussiste  il  dubbio,  non
manifestamente infondato, che il citato art. 263,  terzo  comma,  del
codice civile (come modificato dall'art. 28, primo comma, del decreto
legislativo 28  dicembre  2013,  n.  154),  sia  contrario  non  solo
all'art.  8  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  e  quindi  all'art.  117,-
primo comma, della Costituzione, ma anche agli articoli 3 e 76  della
Costituzione, nella parte in cui non prevede che,  per  l'autore  del
riconoscimento, il termine per  proporre  l'azione  di  impugnazione,
decorra dalla conoscenza della non paternita', anche in casi  diversi
dall'impotenza. 
    Come accennato, il citato  art.  263,  terzo  comma,  del  codice
civile, prevede che «l'azione di impugnazione  da  parte  dell'autore
del riconoscimento deve essere proposta nel termine di  un  anno  che
decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento  sull'atto  di
nascita. Se l'autore del riconoscimento prova  di  aver  ignorato  la
propria impotenza al tempo del concepimento, il termine  decorre  dal
giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la  madre
che abbia effettuato il riconoscimento e' ammessa a provare  di  aver
ignorato l'impotenza del presunto padre.  L'azione  non  puo'  essere
comunque   proposta   oltre   cinque   anni   dall'annotazione    del
riconoscimento». Premesso che non si capisce  per  quale  ragionevole
motivo (ex art. 3  della  Costituzione),  il  termine  decorra  dalla
conoscenza  solo  in  caso  di  impotenza,  va  considerato  che,   a
differenza dell'art. 244, secondo comma, del codice civile  (in  base
al quale per il padre, in caso di adulterio della moglie, il  termine
per l'azione di disconoscimento della paternita', decorre dal  giorno
in cui ne ha avuto conoscenza), il citato art. 263, terzo comma,  del
codice civile, nulla prevede in relazione alla specifica  ipotesi  di
ignoranza - da parte del padre -  della  relazione  della  madre  con
altri uomini al tempo del concepimento, questo Tribunale ritiene che,
in casi del genere, la  stringente  dizione  letterale  della  norma,
imponga,  senza  alternative  costituzionalmente  valide,  che  detto
termine   debba   necessariamente   essere   quello   di   un    anno
dall'annotazione del riconoscimento del figlio sull'atto di nascita. 
    E  gia'  qui,  allora,  vi  e'  il  dubbio,  non   manifestamente
infondato, che la norma confligga con l'art.  3  della  Costituzione,
per ingiustificata disparita'  di  trattamento,  atteso  che  non  si
capisce per quale motivo, in caso di azione  per  il  disconoscimento
della paternita', il termine decorra dal giorno in cui  il  padre  ha
avuto conoscenza dell'adulterio della moglie, mentre,  nel  caso  del
figlio nato da genitori non coniugati, il termine  per  impugnare  il
riconoscimento del figlio,  debba  decorrere  dalla  sua  annotazione
sull'atto di nascita, anziche' dalla conoscenza dell'altra relazione,
considerando che, come noto, l'art. 2, primo comma,  della  legge  10
dicembre 2012, n. 219, come del resto l'ultimo comma del suo art.  1,
ha inteso «eliminare ogni  discriminazione  tra  i  figli»,  compreso
dunque - perche' no - anche il profilo del termine per effettuare  la
contestazione dello status da parte  degli  interessati  (sicche'  le
motivazioni addotte dalla Corte Costituzionale  n.  158  del  1991  e
dalla  Corte  costituzionale  n.  7  del  2012,  non  appaiono   piu'
sostenibili,  essendo  state  superate   dallo   stesso   legislatore
ordinario). D'altra parte, non va trascurato che il medesimo art.  2,
primo  comma,  della  citato   legge   delega,   alla   lettera   g),
sull'argomento, come principio e criterio direttivo, si era  limitato
a  consentire  al  legislatore  delegato  la   «modificazione   della
disciplina dell'impugnazione del riconoscimento  con  la  limitazione
dell'imprescrittibilita'  dell'azione  solo  per  il  figlio  e   con
l'introduzione di un termine di decadenza per l'esercizio dell'azione
da parte degli altri legittimati»; sicche' la differenziazione -  per
il padre «apparente», rispetto al padre coniugato - del  termine  per
contestare il rapporto biologico col figlio  «apparente»,  effettuata
dal citato art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n,  154,
che ha modificato l'art. 263 del  codice  civile,  appare  di  dubbia
costituzionalita'   anche   con   riferimento   all'art.   76   della
Costituzione. 
    Per quanto concerne invece, il citato art.  8  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, esso, nel disciplinare il  diritto  al
rispetto della vita privata e familiare, prevede testualmente che «1.
Ogni persona ha diritto al rispetto  della  propria  vita  privata  e
familiare, del proprio domicilio e della propria  corrispondenza,  2.
Non puo' esservi ingerenza di una autorita'  pubblica  nell'esercizio
di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge  e
costituisca  una  misura  che,  in  una  societa'   democratica,   e'
necessaria alla sicurezza  nazionale,  alla  pubblica  sicurezza,  al
benessere  economico  del  paese,  alla  difesa  dell'ordine  e  alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o
alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui». 
    La  costante  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, dopo aver ricondotto la questione giuridica alla sfera  di
applicazione  dell'art.  8  della  Convenzione,   ritiene   che   una
disposizione normativa secondo cui i termini decorrano dalla  nascita
del minore, piuttosto che dal momento in  cui  il  richiedente  abbia
maturato la consapevolezza di non essere il padre  del  bambino,  non
realizzi un bilanciamento proporzionato degli  interessi  «in  gioco»
(stabilita' nelle relazioni civili e nell'origine degli individui, da
un lato, e accertamento della verita' biologica, dall'altro),  e  che
pertanto una norma  del  genere  non  sia  conforme  all'art.  8.  In
particolare, nella sentenza del 5 aprile 2018 (Doktorov v.  Bulgaria,
proc. n. 15.074/08), la Corte europea ha evidenziato che «22.  As  to
whether it pursued a legitimate aim, the Court finds that the  strict
application of a year- long time- limit for the institution  of  such
proceedings could be  said  to  be  justified  by  the  objective  of
ensuring legal certainty as regards recognised  parental  affiliation
and related support, and the  general  interest  of  society  to  see
stability in civil relations and  individuals'  origin  upheld  (see,
mutatis mutandis, Mizzi v. Malta, no. 26111/02,  §  88,  ECHR  2006-1
(extracts); Rasmussen, cited above § 41, and Shofman v.  Russia,  no.
74826/01, § 39, 24 November 2009). 23. It remains to  be  established
whether not accepting to hear such a claim for  contesting  paternity
by reference to the applicable law was  «necessary  in  a  democratic
society» or, in other words, whether the authorities  struck  a  fair
balance between the different interests involved... (omissis) 24. The
Court notes that the introduction of a general measure in the form of
a legislative response designed  to  deal  with  a  certain  type  of
situation might be an appropriate means to ensure  the  fair  balance
referred to above (see paragraph 19 above). However,  an  excessively
strict statutory limitation on an applicant's possibility to  contest
paternity - in the present case one year starting from the  birth  of
the child rather than from the moment the applicant became aware that
he might not be  the  father  of  the  child  -  cannot  be  said  to
constitute a  proportionate  balancing  of  the  competing  interests
involved. While the legislator's choice to limit that possibility  in
time could not be characterised as either  irrational  or  arbitrary,
the Court finds that it cannot be considered proportionate in view of
the particular interests at stake and  the  rigidity  with  which  it
operated in all cases. In particular, it failed to  provide  for  any
procedure that  would  allow  the  consideration  of  the  individual
circumstances of persona who, like the applicant,  fell  outside  the
legal limitation period for reasons which could  not  be  imputed  to
them». In sintesi, secondo la Corte europea, una  limitazione  legale
eccessivamente  rigorosa  sulla  possibilita'  del   richiedente   di
contestare la paternita' - nella fattispecie  esaminata,  un  anno  a
partire dalla nascita del figlio piuttosto che dal momento in cui  il
richiedente si e' reso conto che potrebbe non  essere  il  padre  del
figlio - non puo' costituire  un  bilanciamento  proporzionato  degli
interessi concorrenti coinvolti. Sebbene la  scelta  del  legislatore
bulgaro di limitare tale possibilita' nel  tempo,  non  possa  essere
definita irrazionale o arbitraria, la Corte europea ha  ritenuto  che
non possa essere considerata proporzionata alla luce dei  particolari
interessi in gioco e della rigidita' con cui ha operato  in  tutti  i
casi. In particolare,  il  legislatore  bulgaro  non  aveva  previsto
alcuna procedura che consentisse di  prendere  in  considerazione  le
circostanze individuali di persone che, come  Doktorov,  non  avevano
rispettato il termine di  prescrizione  legale  per  motivi  che  non
potevano essere loro imputati (nello stesso senso, v. la sentenza  24
novembre 2005, Shofman contro Russia, procedimento n. 74.826/01; e la
sentenza 19 ottobre 1999, Yildirim contro  Austria,  procedimento  n.
34.308/96). 
    Questo Tribunale, pertanto, ritiene non manifestamente  infondata
la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  263,  terzo
comma, del codice civile (come modificato dall'art.  28  del  decreto
legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), nella parte in cui non prevede
che,  per  l'autore  del  riconoscimento,  il  termine  per  proporre
l'azione  di  impugnazione,  decorra  dalla  conoscenza   della   non
paternita', anche in casi diversi dall'impotenza.